PROLOGO: Questa è la fine di un mondo.

 

Il suo nome è Corelia. Un mondo fertile, ricco di vita nelle sue più variegate forme, in orbita intorno ad una stella di classe M giunta a metà del suo ciclo vitale.

Corelia è…era un mondo pacifico, abitato da gente che della pace aveva fatto la propria filosofia.

Poi, giunse il disastro. Inaspettato, violento, cosmico nel vero senso della parola.

Un evento rarissimo, la collisione di due superbuchi neri. Un fenomeno avvenuto in una zona lontana da Corelia, ma sufficiente a generare un’onda gravitazionale senza pari.

Ogni corpo celeste nel raggio di anni-luce fu attratto verso l’epicentro del fenomeno.

Incluso il sistema solare di Corelia.

La crosta del pianeta fu scossa da spasmi violentissimi. Terremoti di una magnitudine mai registrata prima sconvolsero la superficie, radendo al suolo città e montagne in egual misura. Nuovi vulcani nacquero da un’ora all’altra. Gli oceani coprirono ampie aree di terra asciutta, facendo nascere in meno di un giorno nuovi mari interni. Venti ciclonici strapparono via intere foreste.

Un altro tassello della catastrofe fu la luna di Corelia, un corpo di piccole dimensioni....ma quando le forze di marea lo fecero a pezzi, i suoi frammenti ricaddero al suolo, generando esplosioni degne di un arsenale nucleare. E le tempeste di fuoco si aggiunsero così agli ultimi spasmi degli altri elementi.

Quello che rimase in vita della fauna locale non ebbe di che gioire: quando le scosse telluriche, i venti ed il diluvio si calmarono, giunse il gelo. Non il freddo del cambio stagionale, bensì il definitivo consolidarsi del gelo siderale su un mondo senza più il suo caldo sole.

L’atmosfera iniziò a precipitare sotto forma di fiocchi di neve. I mari iniziarono a presentare una crosta sempre più spessa, sempre più uniforme. La terra si coprì di un manto così spesso da non lasciare alcuna pianta viva. La catena alimentare cessò di esistere. Il poco calore prodotto da Corelia, o conservato dagli oceani, era del tutto insufficiente a fermare un’esposizione continua e senza scampo a temperature a centinaia di gradi sotto lo zero.

Corelia morì così, con un lungo sospiro, assiderato.

Eppure, incredibilmente, quella non fu la fine…non per alcuni dei suoi abitanti, almeno.

I coreliani erano gente che avevano attraversato già molte esperienze traumatiche, e ne erano usciti bene, pronti a combattere come lo fecero a suo tempo.

Per loro, l’avventura era appena iniziata.

 

 

MARVELIT presenta

WANDERERS

Episodio 2 - I Vagabondi delle Stelle

 

 

L’immacolata superficie nevosa, congelata, si stendeva ormai da un orizzonte all’altro, sotto un cielo stellato.

Improvvisamente, una porzione di quel ghiaccio iniziò a tremare. Crepe si aprirono nella superficie spessa ormai oltre un chilometro.

Un punto della superficie iniziò a fondere e rientrò su sé stesso, come se un piccolo sole si fosse acceso negli immoti abissi…

Poi la superficie esplose! Le fiamme eruttarono come un titanico geyser, e da quella colonna un enorme missile sfrecciò all’aperto. Uno dopo l’altro, preceduti dai propri fiori di fuoco, altri missili emersero da diversi punti della superficie di Corelia.

 

Giunti ad un’altezza accettabile, senza incontrare alcun attrito atmosferico, essendo ormai tutta l’aria depositata al suolo, i missili si separarono, lasciando cadere i gruppi propulsori. I pannelli degli stadi superiori si aprirono a loro volta, rivelando complesse antenne, pannelli ed obiettivi di telescopi. Ognuno di quei missili era una complessa stazione di scansione per la superficie e lo spazio esterno. Sarebbero stati i vigili occhi dei sopravvissuti intrappolati sotto il ghiaccio.

 

“Che spettacolo terribile…”

Il Gran Comandante Kyrin, che le circostanze avevano appena eletto a guida dei destini della sua gente, non fece caso a quel commento…del resto, non era forse la verità? Non era forse vero che ancora una volta la sorte si era accanita contro i Kymelliani? Quella sfera di ghiaccio butterato, impietosamente mostrata dai satelliti, doveva essere la nuova patria degli equidi vagabondi.

Corelia era stata la terza scelta della sua gente, dopo la distruzione del primo, paradisiaco mondo, seguita dalla fine della civiltà ipertecnologica e fredda. C’era voluto un vero miracolo per portare tutti su Corelia…ed era bastata una forza della natura a vanificare i loro sogni.

Le perdite affettive e personali erano incalcolabili. Lo stesso Kyrin aveva perso la sua amata compagna, là fuori: Yarea era rimasta sulla superficie, per morire insieme al loro mondo…

All’interno della sala-comando, nella cittadella-rifugio di Fatara, l’atmosfera era a dir poco cupa; nessuno parlava, nessuno aveva qualcosa da dire.

Kyrin strinse mentalmente i denti -ora toccava a lui e quelli come lui, guidare la gente fuori dal tunnel della disperazione. Tenerli impegnati e disciplinati sarebbe stata la sfida più impegnativa!

Il Coreliano dalla pelliccia bianca si voltò, dando le spalle al megaschermo che mostrava la superficie morta, e digitò un pulsante sulla sua poltrona. “Popolo di Corelia,” esordì con voce ferma. “Non offenderò la vostra intelligenza, non alimenterò false speranze minimizzando la situazione o cercando di sdrammatizzarla. La prima volta che perdemmo il nostro mondo, potemmo lasciarlo alla ricerca di uno nuovo. Oggi, siamo prigionieri, in un angolo di spazio ancora sconosciuto e con una quantità limitata di risorse.

“Solo una ferma disciplina e la forza della nostra cooperazione potrà salvarci dalla fine. Obbedite tutti, dagli adulti ai piccoli, senza distinzione di rango, alle disposizioni del Comando Militare.

“Il piano prestabilito farà uso delle nostre industrie pesanti per la costruzione di una flotta adeguata a lasciare Corelia e dei mezzi per sciogliere il ghiaccio sopra di noi. Occorrerà tempo, ma confido in voi. E se da una parte siamo prigionieri, proprio la nostra prigione è anche il nostro rifugio contro possibili alieni ostili che dovessimo incontrare nella nostra ricerca per un nuovo mondo.

“Oltre alle forze militari, la Forza Quattro fungerà da gruppo di esplorazione per l’esterno e per il controllo dell’ordine pubblico. Ripeto: non abbandonatevi allo sconforto, combattetelo. Combattiamolo insieme. Gran Comandante Kyrin, chiudo.”

 

“’Piano prestabilito’? Quale piano prestabilito?” il nome di questo stallone nero era Toroki. A Fatara, il suo ruolo era di Curatore delle Colture. Dal suo talento e dai mezzi di cui disponeva, dipendeva l’alimentazione di un popolo.

Fino alla catastrofe, Toroki era stato un semplice contadino…sì, era bravo a fare crescere cibo dove molti avrebbero rinunciato, ma non per questo aveva mai pensato di essere adatto ad una così grande responsabilità. Ed era stato eletto a Curatore solo perché qualcuno aveva messo il suo nome su una lista! Non aveva alcuna preparazione, non aveva mai curato nulla di più grande del suo campo, e ad uso personale per giunta!

Il povero Toroki si guardò intorno, incontrando solo lo sguardo triste dei ‘suoi’ dipendenti in tuta verde -il che ricordava a lui che doveva ancora vestirsi!

Dirigendosi allo spogliatoio, Toroki pensò che non c’era nessun piano prestabilito! Kyrin aveva detto una mezza verità ed una mezza bugia, per impedire una demoralizzazione irrecuperabile.

Il suo sguardo andò verso il soffitto: le luci artificiali non gli erano mai sembrate così belle! Già avvertiva una vaga ansia, all’idea di trovarsi prigioniero…ma se fosse calato il buio, sarebbe stata la fine. Di sicuro lui, almeno, sarebbe impazzito completamente…

Toroki strinse un pugno della sua mano tridigite, e colpì con forza l’armadietto! Il suo muso era contratto in un muto singhiozzo.

“Curatore?” chiese una voce femminile.

Toroki si voltò verso la giovane puledra baia -una figurina fragile ed armoniosa, con gli occhi ancora sgranati nell’emozione della novità. Fra le mani, reggeva un notepad elettronico.

“Cosa desideri...?”

“Leeta, Curatore. Sono la sua, ah, assistente. O così mi hanno, ah, detto… Cosa devo fare?”

Guardandola, Toroki si vergognò di sé stesso: che gli piacesse o no, aveva una responsabilità molto seria. In quella femmina c’erano tutti coloro che dipendevano dalle capacità di lui di prendere una decisione, di restare calmo.

Doveva dare l’esempio.

Toroki aprì l’armadietto e prese la sua uniforme. Indossandola, disse, “Inizia a raccogliere dati: ho bisogno di sapere a che ciclo stanno lavorando le piantagioni idroponiche. Ho anche bisogno delle planimetrie di ogni cittadella.”

“Planimetrie..?”

“I semi ed i fertilizzanti li abbiamo, questo lo so: fanne un inventario. Dobbiamo piantare orti botanici, cibo da fare crescere e soprattutto piante a grosso fusto. Molte piante a grosso fusto; dobbiamo assicurare un’ampia riserva di aria respirabile nel modo più naturale possibile. Le macchine devono essere la nostra ultima soluzione. Il risparmio energetico prima di ogni altra cosa. Oh, e prendimi un appuntamento con il nuovo consiglio, sì, con le autorità: bisogna pianificare la ripartizione del lavoro sui giardini, in modo da dare qualcosa da fare a quanta più gente possibile. Tutto annotato?”

Leeta annuì. Finalmente, lei stessa si mostrava entusiasta. Corse praticamente via, per eseguire gli ordini.

Toroki annuì soddisfatto…poi si diede una pacca sulla fronte. Si era dimenticato di chiederle dove fosse il suo alloggio!

 

Le cittadelle erano otto in tutto, sparse dappertutto sul pianeta, molto distanti l’una dall’altra. Il solo modo che avevano per comunicare era attraverso le antenne che spuntavano dai crateri lasciati dai missili, con i satelliti a provvedere al ponte radio.

Non c’era neppure da preoccuparsi per il maltempo che potesse danneggiare le antenne: ormai non c’era più un tempo meteorologico.

 

Sullo schermo, le cittadelle erano rappresentante dai loro comandanti, che con Kyrin erano divisi equamente fra maschi e femmine.

In quel momento, quasi tutti erano presenti attraverso un collegamento video-olografico, ognuno di loro seduto al suo posto di un tavolo virtuale.

Quasi tutti. Mancava uno dei maschi, all’appello. Il suo comunicatore continuava a lanciare il messaggio di stand-by…ma, in fondo, un altro miracolo era proprio l’essere quasi tutti presenti alla prima riunione del Nuovo Alto Consiglio.

“Credo che dovremmo cominciare senza il Comandante Lakke,” disse una femmina. “Gli faremo un dettagliato rapporto su quello che si dovesse perdere.”

Ci fu una serie di assensi, incluso Kyrin. “Sono d’accordo. Abbiamo aspettato abbastanza.

“Dunque: per prima cosa abbiamo bisogno di stabilire un efficiente sistema di trasporto: i tunnel fra le cittadelle sono andati completamente distrutti dal sommovimento tettonico.”

“Potremmo usare gli ornitotteri,” fece un maschio. “Le rampe di lancio dei missili saranno i nostri punti di ingresso. Basterà puntellare il ghiaccio.”

Kyrin ne prese nota. “Ottimo suggerimento. Sono anche dell’opinione che dovremmo disporre di avamposti di osservazione sulla superficie, per difendere le rampe. Anche se non ci sono verdi pascoli, lassù sarà almeno un piacevole diversivo dalla vita nei sotterranei. Non credo che i volontari ci mancheranno.”

“È vero,” disse un’altra femmina. “Per quanto riguarda il coordinamento generale sulla gestione delle risorse..?”

Kyrin annuì. “Sto predisponendo uno staff adeguato; conto di terminare la selezione in tempi brevi. Siete in grado di gestirvi fino ad allora?”

Coro di assensi. “I nostri staff sono al completo. Non ci sono state perdite durante l’evacuazione.”

Kyrin osservò il posto vuoto. E finalmente prese una decisione.

“Signori, manderò la Forza 4 a perlustrare Lassara. Ora, per quanto riguarda un potenziamento della difesa e della gestione dell’ordine, è senza dubbio opportuno avviare un programma per l’educazione e l’addestramento di nuovi Magi. La nostra forza paranormale deve essere più ampia di soli quattro elementi. Concordate?”

Altri cenni di assenso: i Magi erano i super-esseri di quella gente fin dagli albori della civiltà su Kymellia I, individui in grado di incanalare le energie ambientali per ottenere determinati poteri. Ed era stato proprio grazie al loro contributo, che i Kymelliani avevano potuto progredire e maturare una visione di pace più in fretta, in proporzione a molte altre specie intelligenti…

Poi, però, era giunta l’era delle macchine. Dopo la distruzione di Kymellia I ad opera degli Snark, gli esuli si affidarono interamente alla tecnologia. Non giunse un’era delle persecuzioni, come per i Mutanti sulla Terra, ma senza un ambiente naturale a cui attingere, con sempre meno individui in grado di trasmettere le sacre arti, i Magi si ridussero a pochissimi elementi.

La Forza 4, poi, non si poteva neppure definire un gruppo di Magi, ma di individui a cui un Magio aveva trasmesso il proprio potere. I volontari non avrebbero mai potuto sviluppare le loro doti oltre quelle che possedevano, alimentate dai propri fuochi interiori…

“Resta solo un problema,” disse un maschio. “Basteranno le scarse energie ambientali di Corelia a garantire i Magi che ci servono?”

Fu una femmina a rispondergli. “Se non bastano, saremo noi a crearle.”

 

“Come sta, Dottoressa?”

La femmina dal pelo dorato e dalla criniera completamente rasata aspettò che la porta si fosse chiusa dietro di lei. Poi, uno ad uno, squadrò i tre più potenti Coreliani:

Ø      Ydrai, Teamleader. Poteva apparire curiosa, la scelta di usare il proprio potere per vincolarlo alla tecnologia come faceva il capo della F4, ma questo maschio in fondo era il più cinico e realista fra di loro…ed era una predisposizione importante per una specie che talvolta tendeva, nei momenti meno appropriati, a cedere alle lusinghe dell’inazione.

Ø      Oninjay, Firemane. Il più giovane ed irruento membro, con il suo potere di domare le fiamme e farle diventare parte di sé.

Ø      Embe, Thunderhoof. Lo sposo di colei che giaceva nell’altra stanza, un colosso che avrebbe potuto essere spezzato da una sola parola sbagliata.

“È comprensibilmente in uno stato di forte stress,” disse la Dottoressa Lesha. “Le ho dato degli antidepressivi, e sembra rispondere bene. Ora più che mai ha bisogno di tutti voi: fortunatamente, è forte, e non è caduta in catatonia come Triza.”

Tutti annuirono: più di ogni altro Coreliano, Oosay, la loro Ghostmare, amava il loro mondo. Era stata lei a portare milioni di Kymelliani via dal freddo ventre di Kymellia II, alla ricerca di un mondo come Corelia, dove vivere in pace ed in armonia.

E Oosay aveva deciso di guardare la morte del suo mondo dal vivo, protetta dal suo potere di sfasamento, senza nascondere la testa dietro un albero. E aveva visto il suo peggiore incubo avverarsi. Triza era con lei, protetta dalla femmina adulta; e per lei il colpo era stato così grave da gettarla in uno stato catatonico.

“Dottoressa,” disse Ydrai, odiandosi ad ogni parola pronunciata. “Fra quanto tempo potremo di nuovo contare su di lei? Deve essere al suo meglio per il lavoro che ci aspetta.”

“Dipende dal supporto che le saprete dare. Non lasciatela sola neanche per un momento.” Poi la voce della ‘regina di ghiaccio’ si addolcì. “Ora andate da lei, su.”

 

La porta si aprì.

“Kym..?” Enbe la chiamava sempre con il suo nomignolo affettivo.

La candida femmina sedeva sul letto, la testa leggermente reclinata in avanti, la lunga criniera fluente che sembrava colare sulle spalle ed il petto. Al suono della voce del marito, abbozzò un triste sorriso.

L’enorme maschio le si sedette accanto. La abbracciò, e lei sembrò scomparire fra i suoi arti.

“Enbe…ho visto…tutto…”

“Kym, non devi…”

Ma lei, con gli occhi ancora fissi sull’apocalittico spettacolo, raccontò tutto nei più vividi dettagli. E durante quell’agonia planetaria, lei era stata in contatto con la biosfera, cercando un qualunque punto in cui sembrava che la vita potesse sopravvivere…solo per vederlo morire sotto la furia degli elementi o dei frammenti della luna, in quel terribile spettacolo delle tempeste di neve solcate da meteoriti incandescenti.

“Tutti coloro che erano rimasti fuori hanno pregato, hanno maledetto, hanno riso ed hanno pianto. Hanno guardato Shoka in faccia, e tanti hanno cercato di correre via…per niente. Ce ne sono così tanti agli ingressi dei rifugi…”

“E lì resteranno,” disse Ydrai, freddamente. “E noi ci uniremo a loro, se non sapremo organizzarci e in fretta. O preferisci restare qui a piangere fino a quando non succederà per davvero, Oosay?”

“Tu, lurido…” il pugno di Enbe volò prima ancora che la frase fosse stata completata…

E fu fermato senza sforzo dal destinatario, con una sola mano!

“Mettiamo le cose in chiaro, guerrieri,” disse Teamleader. “Solo l’uso della ragione può salvarci, adesso: non ha senso piangere su quello che abbiamo perso ancora una volta. Ci sono maschi, femmine e cuccioli che hanno bisogno anche di noi. Ogni minuto perso è un minuto sprecato.”

Oninjay dalla bionda criniera annuì. “Sono pronto a darmi da fare, capo.”

La stessa Ghostmare lo imitò. Poi scese dal letto. “Perdonami per il mio atteggiamento. Farò del mio meglio per prestare soccorso a chi ne bisogno.”

Ydrai sembrò soddisfatto. “E per quanto riguarda te, Enbe…” il suo pugno saettò veloce, e colpì lo stallone dalla criniera rossa con la stessa forza assorbita dai dispositivi del costume! Fu come se Enbe avesse colpito sé stesso, ed infatti quasi lasciò la sua impronta nella parete.

Gli altri membri della F4 osservarono con occhi sgranati, ma nessuno intervenne. Ydrai si crocchiò le dita. “…non riprovare mai più ad aggredirmi, o a mettere in discussione la mia posizione. Soprattutto in questo periodo. Chiaro?”

Enbe si rialzò in piedi. Curiosamente, non sembrava offeso, anzi. “Almeno, ora so che sei pronto davvero a fare quello che devi per tenerci domati.”

 

Il suo nome era Tomeko. Era il fratello di Toroki, ma in quel momento la sua mente era lontana da ogni pensiero di famiglia.

Tomeko era il Capopilota nella flotta aerea di Fatara. All’inizio, era sembrato a dir poco folle parlare di flotta aerea, laggiù…poi, il Gran Comandante aveva inviato un messaggio al Comando Aereo, a proposito delle operazioni in superficie, e il suo morale era tornato a volare alto.

Mentre il Comandante Valyai e Kyrin discutevano dei particolari, Tomeko aveva il compito di assicurarsi che ogni singolo veicolo ed ogni singolo pilota fossero al massimo della forma. L’ultima cosa di cui c’era bisogno era un incidente in volo o, peggio, in fase di decollo in quell’ambiente chiuso.

Anche se per convenzione, i velivoli erano ancora chiamati ornitotteri, quelli negli hangar erano apparecchi di forma ben lontana da quella degli uccelli.

La flotta di Fatara disponeva di trenta unità, tutte simili ad uno strano incrocio fra un caccia ed un elicottero senza pale, dallo scafo interamente nero.

Questi apparecchi erano una novita anche per Tomeko, che si era specializzato con i vecchi ornitotteri, più adatti per il planaggio…

“Spero proprio che avremo il tempo di addestrarci su questi affari,” disse  il giovane poco più che puledro, accarezzando lo scafo del suo ala-delta. “Ho letto le prime schematiche, e sono davvero impressionato: se avessimo avuto questi, quando gli Snark ci attaccarono per la prima volta, sarebbe stato un altro discorso. Saremmo ancora su Kymellia.”

“La tecnologia non progredisce mai abbastanza in fretta,” commentò uno stallone di mezza età, con la criniera ingrigita. “È un classico, giovanotto. Ma i Kroser sapranno farsi perdonare il gap: come hai visto, non saranno utili solo in combattimento, ma serviranno allo scopo per cui li disegnai, cioè sostituirsi a intere squadre di lavoro. La costruzione delle basi in superficie sarà molto più spedita.”

Tomeko sorrise. “Ci conto, professor Rahm. Abbiamo davvero bisogno di un po’ di speranza.”

Rahm ridacchiò. “Quello di cui tu hai bisogno, è di menare un po’ le mani. Coraggio, seguimi: devi subito iniziare a familiarizzarti con questi apparecchi, nelle sale di simulazione.”

 

La porta si aprì, e la Forza Quattro entrò nella stanza del Gran Comandante.

Kyrin si alzò in piedi. Restando dietro la scrivania, disse, “Dunque, la situazione è la seguente,” e spiegò cosa c’era che non andasse con Lassara.

“Sono ragionevolmente sicuro che si tratti di un problema con i loro sistemi di comunicazione. Ve la dovreste cavare in poco tempo, ma voglio che restiate là a controllare; non possiamo permetterci altre perdite. Domande?”

“Se fosse successo il peggio?” chiese Firemane. “Quali sarebbero gli ordini?”

“Fare un inventario completo dei danni e di ciò che sia salvabile e recuperabile per le altre cittadelle.”

 

La superficie.

 

Il cratere era uno dei tanti che ancora si formavano occasionalmente, con la caduta degli ultimi frammenti lunari. La roccia cadeva, e ancora integra sfondava il manto sporco di ceneri vulcaniche e di polvere lunare. Anche nel suo nuovo stato, Corelia mostrava i segni della devastazione.

Questo specifico cratere, tuttavia, sito nella fascia un tempo tropicale, aveva una caratteristica singolare.

La roccia caduta nel ghiaccio non sembrava essersi raffreddata.

Dal fondo del cratere, veniva una luce pulsante color rubino.

Come se fosse stato un piccolo cuore…